Tempo di novità

Per fortuna o per sfortuna ho molto tempo libero da impiegare e quindi ho deciso di lavorare a pieno ritmo e potenziale su questo blog. Ho deciso pertanto di muovermi da wordpress.com e spostare tutto su un mio dominio e hosting, almeno posso studiare cose nuove!

Spero che vorrete continuare a leggere le mie poesie e i miei racconti in giro per il web ovunque essi andranno a finire, cosa che dovrebbe essere automatizzata, nel senso che chi già segue il mio blog dovrebbe continuare a ricevere i miei articoli. Nel caso, però, qualcosa andasse storto potete tenervi in contatto con me in questi modi:

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A presto

Psichedelicamente, Spud

Racconti tramandati – Quella strana faccenda delle frazioni

Se ne stava lì con la testa assorta e lo sguardo oltre il vetro, una coperta di lana rossa sulle gambe fragili e la mano destra che tremava raccolta nella sinistra. Da dietro potevo vederne i capelli scomposti appoggiati al cuscino, grigi e candidi come nebbia. Appoggiai la mano sulla sua spalla e ne sentii la vecchiaia tutta, gli allacciai allora il braccio attorno al collo e mi lasciai dare una bacio d’amore sulla guancia per assaporarne ancora di quella sua giovinezza di spirito. Mi fece commuovere e sorridere proprio come quando ero solo un marmocchio e lui un giovane nonno.

Mi sorrise ed io rividi i miei occhi, dovetti sorridere perché non c’era altro che potessi fare, in fondo ero lì per lui ma in un modo piuttosto egoistico. Sentivo di avere una crisi dritta in gola che puntava in mezzo alla fronte proprio nel punto dove gli occhi sono equidistanti, per quella ragione ero scivolato fuori la porta come un ladro ingoiando tutta l’aria umida che i morbidi colli Aurunci lasciavano addensarsi giù per la via. Volevo ascoltare una storia perché ne avevo bisogno. Volevo ascoltare una storia per dare un senso temporale alla mia vita e di fretta correvo verso il portone in quel modo sgraziato che mi contraddistingue, le scale due a due inciampando ogni tre serie ogni qual volta già sentivo l’odore della legna proveniente dal camino. Solamente quando li appoggiai sul pavimento lucido ed incerato i miei piedi si fecero più gradevoli finché lo vidi che se ne stava lì con la testa assorta ed il suo sguardo oltre la vetrata.

Era stato maestro per molti, per me rappresentava anche un maestro di vita. ‘Una volta’ disse con l’iniziale titubanza con cui solitamente esordiscono i suoi racconti ‘Doveva essere sul finire degli anni ’50 tanto che, se ben ricordo, neppure era ancora stato costruito il muro di pietre a secco che confina con la strada’ e si sporgeva quel che poteva verso il vetro. ‘Mi trovavo più o meno seduto qui, ma allora potevo alzarmi’ aggiunse con un velo di tristezza ‘Ero qui con un ragazzo che non avrà avuto più di 12 anni a quel tempo. La madre era una donna disperata che sperava soltanto il figlio potesse migliorare negli studi e, sai, a quei tempi tutto ci aveva un tono più solenne quindi venne a chiedermi se potessi farle l’onore di aiutare quel figlio disgraziato. Salvarlo insomma da un destino accademico poco fruttuoso, questo sperava quella donna. Al tempo già a 12 anni ti trovavi a scegliere fra gli studi e la manovalanza, ed era dura, non era il paese di oggi, sai. Le cose apparivano così diverse.’

Lo vedevo deciso nelle parole ed era proprio quello che amavo di lui e delle sue storie, ti riempivano ogni vuoto perché non riuscivi a fare a meno di ascoltarle. Per di più sapeva giocare d’astuzia con il tono, ingannandoti ogni qualvolta non potevi far altro che chiederti se fosse una storia d’amore, un racconto triste, una semplice battuta o un avventuroso racconto di viaggio. ‘Bene, questo ragazzo era in effetti un po’ tonto, non svogliato per carità. Diciamo solo che lo studio non era affar suo. Passammo un pomeriggio intero sulla matematica ma faticava a seguirmi. Chiedevo qualora avesse compreso la mia spiegazione e quel ragazzo annuiva sempre, ma si capiva mentisse. Non ci riusciva proprio a dirla tutta, ecco. Io me sto qui e parlo di quarti, di metà, di terzi, parlo di frazioni insomma ma in quel testone non ci entrava un fico secco. Un poco sfiduciato mi girai e presi una mela, proprio da quel portafrutta in ceramica che vedi ancora sopra il tavolo e me la sbucciai con calma e in religioso silenzio. Prendersi il giusto tempo è fondamentale, lo sai. Mentre me ne stavo lì a spellare la mela il ragazzo non osava aprir bocca.’ Poi guardandolo dovette continuare ‘Vedi, ragazzo mio, funziona proprio così. Tu tagli la mela in quattro pezzi e ne mangi uno solo, questo è ciò che in matematica chiamiamo un quarto’.

Io notavo che la mano non tremava più mentre raccontava la storia, mentre si accarezzava la destra con la sinistra, in una dolce stretta di mano. Percepii che fosse così sicuro fra la sua mente e i suoi ricordi che di colpo mi sentii tanto invidiosi da voler invecchiare così ardentemente per starmene io al suo posto a raccontare storie a mio nipote. E a me pareva tutto troppo simile ad una sindrome di Stendhal, che meraviglia!

‘E poi, nonno, c’ha capito qualcosa?’ volevo entrarci con tutti e due piedi nella storia, volevo un po’ essere io quel bambino goffo di fronte ad un omone grande e grosso in un freddo pomeriggio degli anni ’50. ‘Tutto è chiaro ora maestro, è così semplice!’ subito proseguì ‘Beh, mi sorprese, disse qualcosa come queste parole e ne pareva proprio convinto. Tuttavia, non potevo dirmi d’aver fatto un buon lavoro, non potevo esserne certo ed aspettai. Le cose buone hanno bisogno di tempo, questo lo capisci, vero?’. Di contro, non ci riuscivo a controbattere. Di tempo ne avevo, di pazienza meno ed è per questo, mi ripetevo, che non andavo forte con la matematica. Proseguì sempre meno incerto e con un abbozzato sorrisetto beffardo in mezzo alle rughe ‘Tornò il pomeriggio seguente, sempre goffo e paffutello’ e senza indugi lo mise alla prova che ci aveva la vista lunga. ‘Allora, vediamo se davvero hai compreso la lezione di ieri. Vediamo un po’. M’hai detto che tutto era semplice quindi so bene che non avrai problemi a dirmi cosa sia una frazione!’ e rispose subito senza pensare quel testone di 12 anni ‘Certo maestro, ci ho capito tutto! Una frazione è una mela! Proprio una mela, una di quelle rosse che la signora Eva tiene lì nel coccio.’

Al che sbotto a ridere di gusto, naturale come un fiore che sboccia fra la neve, rido ancor di più per mio nonno che se la ride a sua volta ed è così buffo col volto che si raggrinza che pare le rughe vogliano mangiargli la bocca ed il naso e lasciare soltanto quei meravigliosi occhi profondi. Ride di gusto pure lui, naturale come quando ha circumnavigato l’Africa soltanto per respirare a boccate piene le sue sigarette fra i venti oceanici. ‘Allora lo dissi alla madre che per lo studio non ci era portato, non accettai soldi e non volli farle perder tempo. L’onestà è quella cosa lì e lo capisci bene, ne sono sicuro. Vedi.. io le persone le capisco al volo. Ci scambio due parole e so cosa hanno in cuore, ne colgo la natura, lo sai o non lo sai. Io ce l’ho come un dono, capisco le persone al volo. Quel ragazzo non era fatto per la matematica, forse neppure per lo studio, perché diamine andar contro la propria attitudine? E sai, è lo stesso con te’ sbotta secco mentre il tono diviene serioso quando mi pare di tornare indietro a 20 anni fa, quando mi guardava severo e dolce come solo lui riusciva a fare. Abbiamo quei dannati stessi occhi, guardarli è un po’ come potersi leggere dentro e convincersi che lui sa, sa tutto. In quell’istante mi sento così nudo, con la mia anima e le mie paure in bella mostra, tremanti tutte come la mia di mano destra che si avvolge dentro il maglione per nascondersi. Sento già qualche lacrima che preme dentro le borse degli occhi. Sapete quando vi sentite in balia delle onde? La sensazione è esattamente quella, io sballottolato da quelle onde pronto a sprofondare in un denso abbraccio. ‘Proprio come te, che vieni ogni pomeriggio qui per farti dire cosa io abbia capito di te, passi qui ogni santo pomeriggio affinché io ti dica cosa sei o cosa, invece, tu non sei. Ed è qui il tuo errore. Non ne hai bisogno, non lo capisci, vero? Non lo capisci che tu lo sai cosa ci sia dentro, lo sai bene ma pretendi solamente che sia io qui a dirtelo. Hai degli occhi che capisco più d’ogni altra cosa, hai il mio stesso dono ma sta a te credere a ciò che vedi, non alla mia bocca stanca dirtelo. Noi ti possiamo soltanto accompagnare ogni giorno, possiamo tenerti per mano se vuoi, ma sei tu a mettere un passo dopo l’altro e scrivere la tua storia. Non puoi di certo aspettarti che la racconti io o ti dica come debba essere. Però tu continua a farmi visita ogni pomeriggio, come hai sempre fatto, ma smettila di cercare il mio sguardo per ricevere la mia approvazione. Vieni qui, come sempre, ma per sentire le mie storie. Solo per una storia, come quella della mela che era anche una frazione.’

Quanto a me sentivo il suo sguardo vegliarmi mentre attraversavo la strada sotto il finestrone, proprio come faceva quando ero bambino, mentre io proprio come un bambino piangevo ancora, mentre io proprio come fa un bambino chiedevo un’altra nuova, bella, sua storia. 

  

Guerra Fredda: l’oroscopo fallibile

Solitamente non sono una amante degli oroscopi e non li consulto, tuttavia per quello di Brezsny faccio eccezione tanto che saltuariamente lo spulcio quanto meno per lo stile e le parole mai banali. Poi è chiaro, non ci prende mai. Questo sarebbe dovuto essere un anno strepitoso condito da picchi di creatività assoluta ed erotismo piccante, niente che mi interessi. Di contro, quest’anno è fatto solo da scoperte. Ogni giorno scopro qualcosa di nuovo, fin quando la mia mente dissocia quell’esperienza e ne crea diverse versioni. Oggi ad esempio ho scoperto di avere svariate zone erronee nelle quali mi trovo in ammollo. Personalmente non mi ero mai guardato come una mente disfunzionale ma solamente come un individuo annoiato; a conti fatti, è stata l’unica semplificazione che la mia mente ha adottato negli ultimi anni e, non v’è bisogno di aggiungerlo, ha paradossalmente creato ulteriori complicazioni. Tutte le altre non-semplificazioni della realtà sono state causate dallo scontro armato fra me e ciò che comunemente definisco ‘esterno’. Viste da fuori le mie zone erronee appaiono come una gigantesca Guerra Fredda dove le forze in gioco appassiscono dolcemente: come insegna la storia, la trincea è logorante.

Però tutto ciò mi fa terribilmente ridere. Io ci spero, spero nel karma, spero in me, in una lucidità creativa della mia mente e non in una forma di delirio incosciente. Perché fuori dalle sabbie mobili esistono solo poesie che aspettano di essere scritte da queste mani lisce intente a scassinare le porte di queste cazzo di zone erronee.

PS: hey Rob, il prossimo oroscopo me lo scrivo da solo, grazie.

Il testamento del mostro

Come neve sciolta

quanto sei bella quando sorridi

impeto che frusta tutte le nuvole del cielo

come un lampo

in una stanza buia

irradi una vita intera di momenti

quanto sei bella quando sorridi

perdo il treno per ammirarlo

perdo il treno al solo pensiero

con il suono delle labbra che si dischiudono per sorridere

sibilano melodie che lasciano i piedi sfiorarsi

in una danza dove i lampadari di cristallo

riflettono quella luce

che si lanci una moneta

testa tu che sorridi

croce io di spalle

che sperando tu sorrida m’incammino felice.

Nuova collaborazione

Il Tricheco Psichedelico sbarca su Sapore di Cina, famoso sito relativo a tutto ciò che riguarda la Cina. Li ho seguiti per anni e letti con piacere ed oggi con orgoglio potete leggere un mio articolo dall’elevatissimo tasso di sarcasmo. Si tratta di un’avvincente short-story ambientata a Shanghai, lunga tutta una notte e carica di paranoia e cinismo psichedelico.

Vi chiederete, è biografica? È una storia vera? Si, ni, boh, mah, lo è? Ma che ve ne frega se è vera o meno! Divoratela e basta! Vi presento “Carcere duro a Shanghai – Ovvero come affrontai le 5 fasi del morire fra Champagne, selfie e prostituzione”.

Com’è ovvio ho aggiornato la sezione delle mie collaborazioni con questo nuovo racconto.

PS: se poi volete creare l’atmosfera perfetta, mentre leggete il racconto ascoltata questo pezzo dei Rancid: ‘Arrested in Shanghai” dall’album Indestructible del 2002.

 

Istantanea #8 – Questione di prospettiva

Sopra di me un’enorme nuvola bianca ha un buco in mezzo, è un piccolo vortice che si richiude secondo dopo secondo. Io ci sono steso sotto e mi pare un enorme buco di culo, è un gigantesco buco di culo che si richiude.

Mi trovo a bordo mare, in una Pineta dove recenti lavori di ristrutturazione hanno creato una pista per correre che osservo sdraiato su filosofeggianti sdraio di pietra dalla forma affusolata. Troppo post-moderne per i miei gusti e non mi piacciono ma ci sto comodo. Me ne sto steso con le ginocchia piegate e le braccia legate dietro al collo. Indosso i miei Persol, c’è un sole che non pare gennaio e il giusto equilibrio fra rumore e silenzio.

Però sopra di me mi sento oscurato da questa nuvola con quell’enorme buco di culo. E mi chiedo come funzioni. Nel senso, io da questo culo ci sto dentro o ci sto fuori? Perché se ci sto dentro sono una merda, ma se ci sto fuori sono nella merda. Sarà pure questione di prospettiva, ma questa prospettiva fa cagare in ogni caso.

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Distorsioni e soluzioni cromatiche

La creazione di realtà parallele è stato il mio problema.

Disfunzionalità analitica di situazioni oggettive che soggettivate hanno prodotto finali alternativi della realtà.  Come un velo opaco, tutto appare vero e un poco falso al tempo stesso. Io sono dannatamente razionale nel quotidiano- al limite dell’ossessivo compulsivo – ma eccessivamente viscerale ed irrazionale nella scrittura. Ho mischiato i mazzi di carte, ho fuso personalità fittizie con emozioni vere. Non c’è da stupirsi se ci si senta come in mezzo ad una Guerra Fredda. Purtroppo non sono un bravo soldato, troppo codardo.

Distorsioni cromatiche ed emozionali. Confusione di stati d’animo e percezione dell’io e del non-io, un po’ come essere daltonici e non riconoscere il colore dei capelli del proprio assassino.

Riabilitazione. Fisso dei punti fermi e associo dei colori, creo la mia palette di sfumature. Pertanto “Spogliamoci assieme”, una poesia cui sono particolarmente affezionato, diventa rosso ciliegia. Un punto fermo.

Soluzioni cromatiche, terapia.

L’insostenibile sospetto di non essere Tintin

Tintin - Le lotus bleu

Ebbene si, ho smarrito Tintin.

Mettete quel ciuffo ridicolo, gli occhi curiosi, le sopracciglia arcuate a chiudere quello sguardo avventuroso sul mondo. Metteteci i viaggi, le avventure, i misteri e gli enigmi. Lo ammetto, ho sempre desiderato assomigliare a Tintin e per molto tempo ho creduto di poter ritrovare nei fumetti di Hergé un mio alter-ego carico di positività. Sai che c’è: fanculo Milou, io ero Tintin.

Ricordo che quando ero bambino, prima delle scuole elementari, desideravo così impazientemente imparare a leggere solamente per poter immergermi nelle mie storie preferite di Tintin. Di notte accendevo la luce sul comodino e aprivo il mio albo a fumetti, lasciavo scorrere le dita sulle vignette e quasi a memoria ripercorrevo i dialoghi e gli avvenimenti del racconto. Ho sempre viaggiato tantissimo e mi ritrovavo in quella figura senza storia che è Tintin. Quando sei abituato a viaggiare Tintin è l’ideale compagno di avventure, se non ci si è abituati diventa un manuale da studiare.

Ci sono cresciuto con quel ciuffo, ho creduto di scorgere ovunque nel mondo i fratelli Dupont, ho sognato un’amico come Tchang e se dovessi iniziare a bere rum sarebbe solo per brindare alla salute di Capitain Haddock. –  Mille sabords! – urlavo sempre giocando con mio nonno Denis, lui che mi teneva per mano alla Fnac mentre sceglievo il prossimo Tintin da comprare. – Mille sabords! – urlava ridendo anche lui facendo innervosire mia nonna!

È un po’ un cliché ma le mie avventure preferite erano due: “Le Lotus Bleu” e “Les Cigares du Pharaon”. Egitto e Cina, a distanza di vent’anni non è cambiato poi molto.

Di recente a Shanghai ho provato a sentirmi ancora Tintin, accovacciato sul risciò mi lasciavo sovrastare da ciò che mi circondava, ma non ha del tutto funzionato. O Shanghai ha perso tutta la sua storica natura, oppure io ho perso la mia identità. O forse entrambe. Sarà per questo che io e Shanghai ci siamo stranamente odiati.

Per quanto mi riguarda ancora oggi leggo Tintin ed in camera conservo con gioia un quadro con la copertina di “Les Cigares du Pharaon”, uno dei regali più belli ricevuti in vita mia, ricevuto da chi quel Tintin l’aveva visto.

Io, invece, faccio ora più fatica a scorgerlo, i capelli ahimé li ho persi e gli occhi sembrano più scuri che sulla carta stampata. Forse, ma non ne son sicuro, son rimasto incasinato in qualche oppieria e devo solo svegliarmi da questo brutto trip.

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Mi sento come un mobile Ikea

Cosa è l’amore? È tutto ed è nulla. Magari non ha senso e forse un senso lo crea.Cosa è l’amore? Io non lo so, ecco. So che non ha nulla a che fare con la chimica, è molto altro ma non so come funzioni. Non l’ho capito.

Dove si trovano le istruzioni di questo amore, se ci sono? 

O molto più realisticamente è starmi accanto che è troppo complesso e il gioco non vale la candela. Io non l’ho capito come funziona questo amore, ma so che esiste. 

So che esiste, perché ce l’ho, ce l’ho e allora esiste. Magari producono un Dash speciale che lo smacchi e lo tolga via, magari anche no. 

Sono io. Sono un essere strano, chiuso in una scatola cinese. Non ho le istruzioni, dove sono le mie istruzioni? 

Mi sento come un cazzo di mobile Ikea montato al contrario, con le viti che mi urtano il petto ed i bulloni incastrati fra gli occhi. Sono Triikëkko, scrivania di vetro pronta ad esplodere in mille pezzi. Neppure io mi comprerei. Ho un cuore di truciolato, uno sguardo laccato e delle parole in saldo, chi diavolo è il designer chi tutto questo?

Forse, ma non ne son sicuro, le emozioni dormono perché fuori fa freddo, forse ridono alle mie battute tristi, forse ballano danze della pioggia. Forse. Forse chiamano per nome, fanno l’appello e segnano offese, se ci sei bene altrimenti è una forma di scorrettezza verso sé stessi, stupidità versata a filo.

Cosa è l’amore? No, non è una parola. Ha un volto, un sorriso così imperfetto dall’essere perfetto, una voglia nocciola sul braccio e un abbraccio che scotta. Cosa è amore? È specchiarmi nell’unico specchio che rifletta il mio sguardo, ovunque esso sia.

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Il mantra del paraculo

No, questo post non parla di film (così, per avvisare).
A cadenza regolare sento la necessità di riguardare quelle pellicole che amo particolarmente, quelle che sanno suscitare emozioni anche quando metti in muto e reciti tu stesso l’intero copione. Pertanto “Old Boy” (quello originale, che non si scherzi) non può che far parte di questa cerchia dorata.
Oggi mi sono svegliato un po’ come Dae-su e mi sono trascinato in bagno affossando la faccia nel lavandino pieno d’acqua bollente. Come un qualsiasi Dae-su prigioniero di se stesso ho recitato sorridendo il mio mantra quotidiano lì, sott’acqua, dove credo non si potesse capire nulla delle mie parole. È una routine inutile che dal 18 dicembre 2014 ripeto ogni mattina, non mi giova affatto, non mi fa sentire meglio ma mi da quell’impressione di provarci. Sia che piova sia che sia bello, che siano le 5 del mattino o mezzogiorno io apro gli occhi e sussurro a mente:

Sorridi, e il mondo sorriderà con te. Piangi, e piangerai da solo.

E poi come ogni giorno ho reagito come Dae-su avrebbe fatto. È che sono nato paraculo, onesto ma paraculo.

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