Sorrisi impregnati nei muri

L’evidenza prendeva corpo e tendeva a manifestarsi ovunque. Si era appropriata della casa condensandosi sulle superfici dei muri, c’era e lui lo sapeva, provava solo a far finta di nulla. Questo doveva passare nella mente di Spud girovagando frettolosamente tra le stanze, la sua agitazione stava rovinando la decadente carta da parati che per la corrente provocata da tutto questo camminare si lasciava cadere giù, tanto aveva fatto il suo tempo, andava comunque cambiata e un giorno l’avrebbe fatto, un giorno lontano probabilmente. Ora c’era da affrontare l’evidenza. Fosse stato solo un pensiero, ma qui si trattava di evidenza, quella fottuta condensa era diventata un mostro, una macchia di muffa nera che pur non volendoci far caso ti si appiccicava in mente.

Spud aveva già affrontato l’evidenza altre volte, inutile dire che aveva perso sempre, non è una cosa che puoi battere l’evidenza, perché essa può esistere o non esistere, non può far altro e se esiste, ha vinto, perché è lì, col tuo whisky tra le mani ad attenderti sulla tua poltrona quando tornerai a casa.

Sarà stato per questo che Spud non volesse uscire di casa per poi tornare e trovare un fottuto cancro a fottersi il suo whisky, e come poterlo biasimare poi, chiunque l’avrebbe fatto.

Tuttavia la casa era ormai pregna. La muffa era ovunque. I segni sarebbero rimasti sul muro per sempre, oltrepassando le foto della sua amata sorridente che stavano lì appesi con sarcasmo; perché il problema erano proprio quei sorrisi, mummificati nel passato di quelle foto, rimasti imprigionati lì senza poterne uscire, bloccati nei ricordi che ora tagliavano in due la testa di Spud che pur volendo, pur impegnandosi non conosceva la formula magica per resuscitare i sorrisi, erano come morti tornati in vita a tormentarlo e la sua casa si stava pian piano tramutando in un cimitero, un cimitero di sorrisi.

I muri invece, loro si che sorridevano a denti stretti, la muffa ritraeva l’evidenza di un sorriso uscito a comprare le sigarette mentre Spud lo aspettava impaziente seduto sulla poltrona bevendo il suo solito bicchiere di whisky aspettando di essere pronto a pronunciare la parola fine senza che questa si bloccasse in mezzo alla gola.

In ogni schizzo di qualche pittore nei vicoli della città potrete trovare questa storia, negli scatti violenti di una matita e con la muffa vomitata e tamponata ad acquerelli, per impregnare il foglio, come un cancro.

Spud è sempre lì nel mezzo, poco delineato, un’ombra scura nell’ombra ancor più scura. Non si vede ma stando bene in silenzio lo si potrà sentire sussurrare:”Questa è la fine”.

Sala da ballo

Questa notte è una sala da ballo, un’immensa e luminosa sala da ballo.

Le luci che danzano davanti ai miei occhi seducono il mio sonno ma non riescono a conquistare la nostalgia per la mia solitudine che dentro tengo.

Non voglio ballare questa sera, l’importante almeno una volta nella vita è decidere, di solito avrei detto di non esserne capace ma ora è diverso, non mi va.

Il punch fa davvero schifo. Tutte le persone qui in giro fanno schifo. Tutti compreso me.

Mangio due salatini e mi butto sulla sedia, mi faccio due risate e mi lascio accecare dalle luci che fanno piroette disegnando stelle sul soffitto, il bambino che vive in me vorrebbe afferrare le stelle con le mani e sgranocchiarle, mentre l’adulto che sono se ne fotte degli astri, si pone un paio di domande su Dio e poi sguazza in un paio di dita di scotch. Ora capisco chi dice che sarebbe meglio non invecchiare.

Le scarpe dei ballerini cinguettano rumori che irrompono bussando alla mia porta, provocandomi un mal di testa che fatico a sopportare, si muovono a tempo, vanno tutti fottutamente a ritmo. Perché?

Mi dovrei buttare nella mischia? Dovrei smetterla di amare il mio modo di vivere? Dovrei andare a dormire?

Massì, andiamo a ballare un… ultimo valzer. Dritto in piedi, orgoglioso e con sguardo fiero mi finisco due bicchieri in un sol sorso, un due tre e mi ritrovo con le spalle rivolte agli stronzi che ballano, altri tre passi e via, mi butto giù dal balcone. Ballo col vento un’ultima e disperata danza che culmina in un torbido sorriso che vuol dire solo felicità. Godo nella brezza come una nuvola che porta pioggia e rancore. Muoio bagnando i vostri volti di lacrime e rinasco come un sogno soffice dritto sopra la vostra testa.

Ecco perché non mi iscrivo ad un corso di ballo, ci tengo alla mia pelle.

Un due tre.. mi infilo nel letto e danzare con gli incubi.